Intervista del 14 gennaio 2016
Roberta Bruzzone su Ashley: “Se la morte è asfittica il senegalese mente. Ma non è gioco erotico”
“Come volevasi dimostrare: abbondanti tracce e i filmati delle telecamere hanno inchiodato il killer di Ashley”. L’arresto del senegalese accusato di aver ucciso la ragazza americana trovata cadavere nella sua casa a Firenze, non sorprende più di tanto Roberta Bruzzone, criminologa, che proprio ieri nell’intervista a Intelligonews aveva previsto la chiusura rapida del caso legato a motivi passionali. Oggi torna su quell’analisi evidenziando anche il ruolo fondamentale delle telecamere di sorveglianza ai fini investigativi: “Qui la privacy non c’entra nulla”.
La svolta nelle indagini sul delitto di Firenze conferma la lettura che a Intelligonews aveva dato giusto ieri: motivi passionali?
«Assolutamente sì: ci sono abbondanti tracce, un rapporto sessuale consensuale e una persona nota alla vittima che in qualche modo aveva ospitato in casa. Poi qualcosa è precipitato tra i due, forse una parola sbagliata a l’uomo ha perso la testa. Dopodichè ha portato con sé il cellulare perché in qualche modo avrebbe potuto ricondurre a lui. Come volevasi dimostrare: una soluzione rapida, le tracce disponibili erano molte e poi c’è stato il ruolo delle telecamere di sorveglianza».
A questo proposito, si stanno rivelando sempre più importanti ai fini delle indagini?
«Non è la prima volta, è stato così anche per il delitto del tabaccaio di Asti o per la stessa vicenda del piccolo Loris. Oggi le telecamere di sorveglianza hanno un ruolo fondamentale; per fortuna le nostre città sono popolate da occhi assai indiscreti di Orwelliana memoria, di conseguenza il primo step investigativo è dedicato proprio all’esame dei dispositivi di video-sorveglianza. Oggi cercare o pensare di farla franca se il posto è ben sorvegliato, non è certo facile, considerando anche l’aspetto che molti delitti sono delitti d’impeto».
Sull’uso delle telecamere è aperto il dibattito che rimanda i più reticenti alla tutela della privacy. Quanto dobbiamo essere disposti a cedere sul terreno della privacy in nome della sicurezza?
«Le telecamere sono uno strumento fondamentale nel contrasto, purtroppo non nella prevenzione. Quando si parla di privacy occorre stabilire cosa si vuole tutelare sé, cioè si vuole tutelare la vita in chiaro delle persone che in quanto tale non può essere riconducibile a una questione di privacy. Anche perché le telecamere in giro per le nostre città non vanno a spiare la vita domestica delle persone e se uno non ha niente da nascondere non capisco dove stia la questione della privacy. Le telecamere di sorveglianza monitorano dei passaggi che possono intercettare momenti di vita delle persone da cui possono derivare conseguenze anche penalmente rilevanti, ma ritenere che questo vada a ledere il diritto della privacy mi pare difficile da sostenere. Anzi, ben venga questo tipo di sistema che rappresenta una delle risorse investigative più preziose che abbiamo».
Da criminologa, come legge la motivazione che il senegalese fermato ha dato agli inquirenti sostenendo di averla spinta ma di non volerla uccidere?
«Bisogna vedere quale sarà l’esito dell’autopsia per avere un’idea precisa; è necessario avere il quadro reale delle cause della morte della ragazza. Se come pare, la morte è di matrice asfittica e non conseguenza di un colpo alla testa, allora le dichiarazioni del senegalese sono ben lungi dall’essere reali. Ma anche in questo caso la verifica sarà facile e immediata nel senso che si tratta di comparare le sue dichiarazioni con l’esito dell’autopsia: da lì non se ne esce. Quello che mi pare fin d’ora si possa escludere è il gioco erotico che in molti si sono affrettati a ipotizzare ma che secondo me era irrealistico. Qui c’è un rapporto sessuale consumato in maniera consenziente, poi degenerato per qualcosa che è successo mentre lo stesso rapporto avveniva».
Dalle verifiche degli inquirenti è emerso che il senegalese non era regolare. La sospensione della legalità talvolta può diventare anche violenza?
«Nulla di nuovo. C’è un sacco di gente in circolazione di cui non abbiamo alcuna consapevolezza. Per fortuna, e lo dico dal punto di vista investigativo, l’uomo si era fatto conoscere perché, altrimenti, avremmo avuto abbondanti tracce ma avremmo rischiato di non trovarlo mai. E’ una vicenda che testimonia la grande precarietà della nostra travagliata Italia in cui circola chiunque lo voglia. Non solo, ma c’è anche un sacco di gente – e non solo in relazione al delitto di Firenze – che ci mette molto poco a creare danni irreparabili come abbiamo potuto costatare in altri delitti. Diciamo che è l’ennesima manifestazione di un problema ti tipo strutturale. Stavolta, ci ha rimesso la vita una ragazza americana che forse aveva uno stile di vita un po’ a rischio. Per questo avevo evidenziato fin dalle prime ore dopo il delitto la necessità di approfondire il quadro vittimologico».