Intervista del 24 maggio 2017
Blue Whale Challenge, Bruzzone: “Siamo oltre il cyberbullismo: sanno chi puntare”
E’ allarme Blue Whale Challenge con un aumento vertiginoso di casi anche in Italia (gli ultimi si sono verificati a Lucca e a Pescara). Si tratta di un gioco diabolico, dalle regole perverse e da un finale premio da brivido: il suicidio. Gli adolescenti infatti attraverso un lungo percorso composto da 50 tappe e da livelli di gioco ogni volta sempre più estremi, vengono indotti ad entrare in depressione e infine a togliersi la vita con tanto di ripresa video. Regola fondamentale del gioco è non rivelare nulla a nessuno, genitori in testa, dietro la minaccia di pesanti ritorsioni. Ma come ci si può accorgere se un figlio adolescente è entrato nel tunnel del gioco mortale? Cosa fare? Come difendersi? Intelligonews lo ha chiesto alla criminologa Roberta Bruzzone.
Con il Blue Whale Challenge siamo ancora nel campo del cyberbullismo o si sono travalicati i confini?
“Siamo oltre, siamo davanti ad un meccanismo, perverso e malvagio, creato appositamente per far sì che ragazzi fragili arrivino ad autoeliminarsi. Quindi siamo in una forma di omicidio per interposta persona. Chiamarlo gioco è sbagliato, si rischia di sminuirne la portata criminale. Il creatore di questo gioco mostruoso è stato arrestato in Russia ed è sotto accusa per oltre 150 istigazioni al suicidio. Ma qui siamo oltre perché c’è un meccanismo diabolico: si agganciano giovani fragili e attraverso le prime prove si riescono a raccogliere contenuti con i quali ricattarli e terrorizzarli obbligandoli ad andare avanti con prove sempre più estreme, l’ultima delle quali è appunto il suicidio. Il creatore del resto il suo obiettivo lo ha dichiarato pubblicamente: ha ideato questa follia per portare giovani fragili ad autoeliminarsi”.
Ci sono stati dei giornali che hanno scelto di non raccontare fatti di cronaca legati al gioco per evitare fenomeni di emulazione. E’ giusto?
“Come spesso accade in questo tipo di scenari caratterizzati da contesti depressivi, parlarne può provocare interesse da parte di chi è già portatore di problematiche. In Italia sicuramente il fatto di averne parlato può aver spinto molti ragazzini con certi tipi di criticità a ricercare questo tipo di scenario. Fare cronaca è giusto ma è importante trattare l’argomento con attenzione e professionalità perché il rischio di scatenare una catena emulativa è comunque molto alto”.
Basta una semplice richiesta di attenzione per prevenire il rischio o occorre altro?
“I vari livelli di sfida portano a delle conseguenze evidenti. Mi pare difficile che un genitore normale non si accorga se il figlio comincia a tagliarsi o a dare segnali di squilibrio. Il problema è un altro: questa mostruosità è rivolta principalmente a giovani già in condizioni critiche, con contesti familiari difficili alle spalle e dunque facili preda dei criminali fra la disattenzione degli adulti”.
Come si possono riconoscere i campanelli d’allarme?
“Non sono campanelli ma campane. Questi ragazzi vivono in contesti di evidente solitudine e quindi il consiglio da dare ai genitori è fare i genitori visto che questo ruolo molti sembrano proprio non volerlo svolgere. Il campanello d’allarme più emblematico è il ritiro sociale. La maggior parte di queste persone non hanno amicizie e vivono un vuoto di relazione con i propri pari. Non svolgono attività sociali e vivono sulla rete. Non ci vuole molto a capire che il proprio figlio non svolge una sana vita di relazione”.
Gli adolescenti di oggi si sentono anche un po’ onnipotenti?
“Il delirio di onnipotenza varca tutte le generazioni, non riguarda solo gli adolescenti. E’ chiaro che il bisogno di attenzione che chiaramente è patologico in questi casi può portare a percorrere strade diverse. Quella di farsi del male è purtroppo molto praticata”.
Quali sono quindi le soluzioni?
“Soluzioni qui è difficile prospettarle. Nessuna situazione di disagio, nemmeno quella più lieve, dovrebbe essere trascurata”.