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Moto Rock e tatuaggi…ecco la tigre Roberta Bruzzone

Roberta Bruzzone: criminologa, psicologa forense ma anche scrittrice, opinionista e presentatrice tv. E’ balzata al centro dell’attenzione mediatica per aver trattato i più importati fatti di cronaca nera italiana degli ultimi anni (in primis Il delitto di Avetrana).

Tra le tante iniziative ha recentemente fondato A pista fredda, associazione dedicata all’aiuto delle famiglie vittime di casi rimasti irrisolti.

Mi racconta un episodio OFF degli inizi della sua carriera?

Episodi OFF, visto di ciò di cui mi occupo, è un po’ difficile trovarne…

Perché ha deciso di fare questo lavoro?

Ho seguito una predisposizione naturale. Sono sempre stata una bambina in qualche modo molto incuriosita da quello che succede nella testa delle persone e ho trasformato questo interesse nella mia professione, unendo competenze di natura psicologica (sono una psicologa) a competenze di tipo scientifico-forense. E devo dire che questo tipo di impostazione ha dato ottimi frutti.

Lei ha lavorato ai più importanti fatti di cronaca. C’è qualcosa che accomuna i criminali?

Quelli di cui mi occupo io -quindi parliamo di soggetti che per lo più uccidono all’interno della propria sfera di relazioni affettive e familiari), hanno un comun denominatore rappresentato dalla presenza di tratti narcisistici maligni. Questo tipo di personalità è correlato a una serie di comportamenti che con molta facilità possono sfociare nel crimine o nell’esercizio di potere sull’altro. Questo è sicuramente uno scenario molto comune tra gli assassini che ho avuto modo di esaminare in questi venti anni.

Cosa si impara da questi casi?

Ad avere poca fiducia nel prossimo, probabilmente. Il mio non è un lavoro che ti aiuta in qualche modo a non fidarti delle persone, perché dopo tanti anni, in qualche modo, ti sei addestrato a cogliere anomalie, incongruenze…io sono abituata a mettere in discussione sempre quello che mi viene detto, perché nel mio lavoro spesso e volentieri i casi si risolvono proprio agendo in questo modo. Si impara a tenere alla larga la maggior parte delle persone. Devo ammetterlo, purtroppo: le emozioni che popolano la mente della maggior parte delle persone sono spesso negative. Ho avuto modo di verificare negli anni quanto possa fare male l’invidia, a quali tipi di condotte possa portare in qualche modo la gelosia. E devo dire che spesso riconosco nelle persone aspetti di questo genere.

Lei è mai stata oggetto di invidia?

Sì, sono stata e sono spesso oggetto dell’invidia della gente e vittima di menzogne e calunnie di vario genere da parte di alcuni soggetti piuttosto miserabili.

Perché la invidiano?

Io genero invidia per una serie di ragioni che riguardano sia la mia enorme visibilità mediatica che il particolare e difficilissimo tipo di professione che svolgo, con grande successo, da molti anni, ma anche per la mia vita sentimentale e per tante altre cose. Ormai non ci faccio nemmeno più caso. Del resto, in effetti, che io possa scatenare una profonda invidia è comprensibile date le circostanze.

Dopo aver lavorato a numerosi casi, spesso efferati, agghiaccianti, come è cambiata rispetto agli inizi della sua professione?

Davanti a questo tipo di scenari, ogni volta diversi, ogni volta terribili, l’emozione viene ovviamente contenuta. Le emozioni non sono delle buone consigliere, soprattutto per chi fa il mio lavoro. Non credo di essere molto diversa dalla criminologa che ha iniziato venti anni fa. Sono sempre la stessa persona dal punto di vista dell’impegno e della determinazione. Indubbiamente, il lavoro e l’esperienza sul campo mi hanno dato la possibilità di difendermi maggiormente da certe situazioni, perché, soprattutto quando le vittime sono bambini, è veramente difficile contenere l’aspetto emotivo.

Nel suo lavoro deve mantenere una certa distanza emotiva. Nella vita invece cosa la emoziona?

Sono una persona che si emoziona abbastanza facilmente nella vita di tutti i giorni. Mi emoziona un gesto di gentilezza, ma anche andare in moto, che è la mia principale passione extra-lavorativa, il rapporto con i miei animali domestici e la mia vita sentimentale. La corazza la indosso solo quando serve.

E quando non lavora indossa il casco. Come è diventata un’harleysta?

Solo recentemente lo sono diventata,vengo da un’esperienza di molti anni in Ducati. Ho fatto questa scelta per amore, un anno fa. Con mio marito abbiamo iniziato a girare per il mondo con l’Harley. Così ho cambiato tipologia e modo di andare in moto, ma non potrei mai separarmi dalla motocicletta.

Come è nata questa passione per la moto?

Probabilmente è nel mio DNA. Ero piccolissima e per me la passione per le moto e i motori è stata precoce.

Moto, rock e un tatuaggio con una tigre. Cosa la accomuna a questo animale?

Tutto: non sono mai stata un soggetto da branco. L’autonomia, e la capacità di tirar fuori gli artigli quando serve senza lasciare scampo…credo proprio di riconoscermi completamente in questo animale. Probabilmente in qualche altra vita appartenevo a quella razza felina, chissà!

In genere la passione per la moto si lega bene a quella per il rock; è così anche nel suo caso?

Non ascolto molta musica perché purtroppo non ho tempo, ma quella che preferisco è sicuramente il rock americano anni ‘60 e ’80, come quello dei Guns N’ Roses, dei Queen e degli Eagles.

Qual è il prossimo viaggio che farà in moto?

Io e mio marito fra agosto e settembre andremo in America, faremo un bel pezzo della leggendaria Route 66 da Chicago e poi andremo a festeggiare il 115 anniversario della Harley Davidson nella casa madre a Milwaukee.

Ha da poco festeggiato un anno di matrimonio: le piacerebbe avere dei figli?

No, è una scelta che ho fatto anni fa. Con quello che ho visto nel mio lavoro in questi anni non me la sento di mettere al mondo qualcuno in questo mondo. E’ una scelta di assoluta consapevolezza.

Lei è credente?

Io sono convinta che l’anima sia qualcosa di indefinibile e che ci sia un altro piano energetico altamente probabile. Sono uno scienziato empirico, quindi sono qui, su questo pianeta, e mi baso su quello che vedo e che posso toccare. Indubbiamente ritengo che possa esserci qualcosa oltre la vita. Forse in qualche modo me lo auguro. Certo che se esiste un Dio, io lo vedo piuttosto distratto.

Eccelle nel suo lavoro, ma in cosa è veramente una frana?

Non vorrei sembrare presuntuosa, ma tutte le volte che mi sono cimentata a fare qualcosa sono riuscita a farla sufficientemente bene. Per me è una questione di impegno, se mi metto a fare una cosa, di solito a farla bene ci vuole poco tempo.

Il 24 luglio uscirà il suo nuovo libro sul caso di Nada Cella…Perché ha deciso di scrivere su questo delitto?

Io incontrai la mamma di Nada Cella due anni fa. Questa storia mi aveva colpito già dal ‘96, seppure non sia stato mai un delitto che ha riscosso un grande interesse mediatico. Questa storia è rimasta lì nel dimenticatoio, ma io non l’ho mai dimenticata. Ho avuto la possibilità di conoscere la mamma di Nada che mi ha dato l’opportunità di accedere agli atti. È stato difficilissimo avere accesso al fascicolo, perché abbiamo dovuto cercarlo ovunque. Ci sono voluti quasi tre anni per avere l’accesso completo a tutti gli atti che sono ancora disponibili, però non ho voluto mollare la presa perché ritengo che questa storia vada raccontata con foto, e sono molto contenta di essere riuscita a terminare questa opera, insieme ai miei collaboratori, perché credo che questa storia possa riservare ancora qualche sorpresa. Per me i casi ‘a pista fredda’ sono da sempre una grande fonte di interesse, infatti ho creato recentemente anche un’associazione insieme ai miei collaboratori che si chiama proprio “A pista fredda” e che dedichiamo all’aiuto delle famiglie che sono purtroppo vittime di casi rimasti irrisolti. Il caso di Nada Cella è la prima opera che nasce all’interno dall’associazione con l’obiettivo di dare a queste famiglie forse l’ultima chance di avere verità.

Nel libro di Nada abbiamo fatto una ricostruzione chirurgica e, a mio modo di vedere, abbiamo anche fornito nuovi spunti investigativi mai percorsi in precedenza. Speriamo possa essere d’aiuto per poter finalmente arrivare a dare un nome e un volto all’assassino di questa ragazza. Una copia del libro verrà omaggiata al Procuratore Capo della procura di Genova sperando che possa trovare interessante la lettura. Per me è proprio una sorta di interesse costante perché non tollero che qualcuno possa farla franca. È qualcosa che mi suscita una reazione interiore molto potente, molto profonda, e se posso dare un aiuto lo faccio volentieri. Infatti, una buona parte della mia attività è proprio finalizzata a ricostruire casi di questo genere. Mi auguro che questo libro possa essere d’aiuto per la famiglia in particolare.

Fonte:ilgiornaleoff.ilgiornale.it