Professione Profiler
Articolo pubblicato sul II numero della rivista ALTEREGO – Aprile 2007
di Roberta Bruzzone, Psicologa e Criminologa, Presidente Accademia Internazionale di Scienze Forensi – www.accademiascienzeforensi.it
Criminologi e profilers….facciamo un po’ di chiarezza
I criminologi da sempre studiano il comportamento criminale e normalmente in Italia trovano impiego principalmente in ambito penitenziario a supporto della Magistratura di sorveglianza nel delicato compito di individuare le modalità più idonee per l’esecuzione della pena nell’ottica della risocializzazione e del reinserimento sociale. Per riuscire ad adempiere a tale compito il Criminologo “tradizionale” può attingere da numerose discipline tra cui al Psicologia, la Sociologia, la Psichiatria, la Medicina, oltre a molte altre naturalmente. Esiste poi un particolare ambito della criminologia, ossia la cosiddetta “criminologia investigativa”, che si concentra principalmente sull’applicazione degli strumenti conoscitivi criminologici “tradizionali e non” al mondo delle investigazioni criminali. È qui che entra in campo la figura del profiler, un soggetto essenzialmente dotato di un buon intuito e di una grande capacità di osservazione, capace di entrare nella mente criminale e di comprenderne il funzionamento, con una vasta esperienza in ambito investigativo e capace di processare le informazioni raccolte sulla scena del crimine secondo una logica stringente in cui i fatti, e soltanto quelli, la fanno da padrone.
Queste in sintesi le abilità di importanza cruciale di cui occorre essere in possesso per pensare di poter intraprendere tale professione….Già, ma come fare ad acquisirle? In altre parole, come si diventa un buon profiler? Ed è proprio qui purtroppo che lo scenario si complica, e cioè a partire dalla (a dir poco) nebulosa definizione del percorso formativo ed esperienziale in grado di formare tale figura professionale in maniera realistica, almeno in Italia. Con ogni probabilità, proprio tale scarsa trasparenza è stata alimentata ad arte da parte di alcuni criminologi, aspiranti “Sherlock Holmes” sui generis, esterni alle Forze di Polizia che hanno tentato di far passare nell’opinione pubblica il messaggio, fuorviante e decisamente pericoloso, che sia possibile risalire al profilo di personalità di un assassino (ipotizzando addirittura di poter arrivare così all’individuazione del colpevole) semplicemente attraverso i resoconti del caso forniti dai giornali.
Tale atteggiamento di fatto ha fortemente minato la credibilità dell’intera categoria dei criminologi, in primis, e di conseguenza dei profilers, negli ambienti investigativi e, cosa ancora più grave, ha subdolamente alimentato le illusioni di moltissimi giovani, desiderosi di intraprendere tale professione pur senza appartenere ad una Forza di Polizia, attraverso la frequenza di uno dei tanti costosi corsi e master che oggi affollano il mercato formativo post-laurea italiano. Ritengo quindi sia doveroso, oggi più che mai, sgombrare il campo da questo grosso “equivoco”: in Italia non è possibile operare come profiler al di fuori dei reparti specializzati delle maggiori Agenzie Investigative Istituzionali (Polizia di Stato italiana, Carabinieri e Guardia di Finanza). Le collaborazioni esterne a tali ambiti rappresentano l’eccezione, non certo la regola, e sono legate a particolari professionalità e comunque non prevedono quasi mai l’intervento sulla scena criminis.
Che cos’è il criminal profiling?
Fermo restando quanto affermato sin qui, il criminal profiling rappresenta di fatto una tecnica di analisi a supporto dell’investigazione attraverso la quale personale specializzato delle Forze di Polizia di tutto il mondo arriva ad elaborare un possibile profilo psico-comportamentale del soggetto che ha compiuto un determinato crimine. Il criminal profiling viene quindi utilizzato principalmente per ridurre la rosa dei sospetti indirizzando le risorse investigative, che non sono mai infinite per loro stessa natura, solo verso coloro che possiedono certe caratteristiche di personalità e comportamentali. In tale prospettiva dunque, l’obiettivo primario è rappresentato dall’aiutare gli investigatori a gestire con maggiore efficacia la loro lista di sospetti. A questo punto occorre sgombrare il campo da ogni eventuale equivoco: il profiling di per sé non è in grado di identificare uno specifico sospettato, non è in grado di fornire un indirizzo od un numero di telefono. L’esito del profiling è una sorta di ritratto psico-comportamentale che contiene informazioni di carattere biografico, psicologico e comportamentale su un dato criminale ancora sconosciuto (il cosiddetto “UNSUB” nel gergo poliziesco).
L’esordio di tale tecnica di supporto, basata sull’analisi comportamentale della scena del crimine, ha avuto luogo nella metà degli anni 60’ negli ambienti investigativi statunitensi, dove ancora oggi vede la sua maggiore applicazione pratica ed i maggiori successi sul campo. Il “padre” indiscusso di tale cambiamento di rotta fu senza alcun dubbio Howard Teten, uno Special Agent dell’FBI con una lunga carriera alle spalle come detective della squadra omicidi nella Polizia di San Leandro, California. Teten, dopo aver messo a punto un approccio più sistematico alle tecniche di profiling, insieme a Pat Mullany, un altro Agente Speciale
FBI esperto in Psicologia Criminale, crea il primo programma ufficiale di criminal profiling del Bureau. Con loro nasce infatti in seno all’FBI la prima unità investigativa della storia creata con la mission ufficiale di occuparsi dell’analisi psicologica della scena del crimine. Mi riferisco alla Behavioural Science Unit (BSU), la squadra dei cosiddetti “Mindhunters” (cacciatori di menti), che del criminal profiling moderno vanta la paternità storica e che ha ispirato molti film e serie televisive di successo, da “Il silenzio degli innocenti” a “Criminal Minds”.
Nelle strategie di profiling dell’FBI il contributo di profilers come Douglas, Ressler ed Hazelwood, la seconda generazione di profilers in forza all’FBI, rappresenta ancora oggi la base contenutistica più diffusa e sedimentata. Questi psycho-detectives, attraverso tutta una serie di colloqui in carcere con i più famigerati serial killers dell’epoca (del calibro di John Wayne Gacy, David “the son of Sam” Berkowitz ed Edmund Kemper) hanno elaborato un approccio al profiling suddiviso in cinque fasi principali, con una sesta fase ipotetica (e fortemente auspicabile) che consiste nell’arresto dell’autore del reato. Ecco qui di seguito in sintesi il percorso analitico definito dai “padri” del profiling di matrice investigativa:
(1) Profiling Input: questa prima fase include la raccolta di tutte le informazioni disponibili sulla scena del crimine, incluse le impronte e le tracce di ogni tipo, le fotografie della scena, il rapporto autoptico completo, le deposizioni testimoniali, l’analisi vittimologica (raccolta di informazioni in merito al background della vittima) e il rapporto della Polizia. In questa fase, secondo gli autori, il profiler non dovrebbe richiedere di che gli vengano fornite informazioni su possibili sospetti poiché tali informazioni potrebbero influenzare la sua analisi e quindi inficiare l’intero processo.
(2) Decision process models: in questa fase il profiler organizza le informazioni raccolte durante la fase precedente prendendo in considerazione le complesse dimensioni dell’attività criminale. Queste sono alcune delle domande che normalmente il profiler affronta durante tale fase:
- Che tipo di omicidio è stato commesso?
- Qual è il movente primario alla base di questo atto criminale?
- Qual è il livello di rischio cui era soggetta la vittima?
- Qual è il livello di rischio corso dall’offender per portare a termine il crimine?
- Qual è l’esatta sequenza degli atti compiuti dall’offender (criminodinamica), prima, durante e dopo il crimine?
- Quanto tempo ha trascorso l’offender sulla scena del crimine?
- Dov’è stato commesso il crimine?
- Il corpo è stato ritrovato sulla scena in cui è stato commesso il crimine o è stato spostato?
- Quali sono le condizioni del corpo al momento del ritrovamento?
- Esistono elementi che rimandano ad una ipotesi di staging (messa in scena) o undoing (tentativo di ridurre l’impatto emozionale/psicologico di quanto commesso)?
(3) Crime assessment: a questo punto il profiler tenta di ricostruire il comportamento dell’offender, prestando particolare attenzione all’interazione tra vittima ed aggressore. In questa fase entrano in gioco alcuni principi generali del profiling come ad esempio:
- la presenza di gravi traumi facciali sulla vittima fa supporre che l’offender conosca la sua vittima;
- gli omicidi commessi con armi d’opportunità, ossia reperite direttamente sul luogo dell’aggressione e non preselezionate e portate con sè dall’aggressore sulla scena del crimine, riflettono una maggiore impulsività rispetto agli omicidi commessi con un’arma da fuoco e possono far pensare ad un offender che vive vicino alla vittima o appartiene alla sfera di conoscenze di quest’ultima;
- gli omicidi che avvengono nelle prime ore del mattino raramente hanno a che fare con l’uso di alcol o sostanze stupefacenti.
(4) Criminal profiling: in questa fase il profiler, sulla base di tutte le informazioni raccolte nelle fasi precedenti, elabora una descrizione tipologica del sospettato. Il profilo tipico include le seguenti informazioni: sesso, razza, età, stato civile, stato sociale, storia lavorativa, caratteristiche psicologiche, valori, credenze, probabile reazione nei confronti della Polizia, eventuali precedenti penali, sia generici che specifici (relativi ad episodi criminali della stessa natura dell’evento criminale oggetto di indagine).
(5) Investigation: è la fase in cui viene stilato un rapporto scritto che viene poi consegnato agli investigatori i quali possono utilizzare tale report per ridurre la rosa dei sospetti. Se emergono nuovi elementi di prova in questa fase, anche il report va rivisto e rielaborato sulla base delle nuove informazioni emerse.
(6) Apprehension (individuazione e cattura): ovviamente l’obiettivo principale di ogni investigazione è rappresentato dalla individuazione e dalla cattura dell’offender. Anche in questa fase l’attività di profiling può rivelarsi di notevole utilità per individuare la strategia di interrogatorio più idonea sulla base delle caratteristiche psicologiche dell’offender individuate dal profiler. E tale aspetto può rivelarsi di grande importanza quando ci si trova davanti un dato sospettato di cui non abbiamo informazioni di matrice psicologica.
Naturalmente il percorso analitico appena descritto rappresenta il punto di partenza di uno strumento investigativo che nel corso degli ultimi trent’anni ha avuto modo di evolvere e crescere notevolmente, seppur con grande fatica, sia sotto l’aspetto dell’efficacia sul campo che in termini di validazione scientifica dei vari approcci utilizzati.
Quando può essere utilizzato il criminal profiling?
I settori tradizionali di applicazione del profiling sono relativi agli omicidi seriali, agli stupri seriali, agli omicidi a sfondo sessuale, ai molestatori di minori, ai crimini rituali e alla piromania. La caratteristica comune a tutti i crimini analizzati con le tecniche di profiling è quindi la serialità (uno stesso soggetto che commette una serie di crimini) e il fatto che l’assassino sia motivato da una spinta psicopatologica. L’applicazione in questo ambito dei metodi statistici è sempre in funzione del delicato processo di linkage (letteralmente l’attività di analisi che consente di identificare i vari crimini di una serie dietro cui si cela la stessa mano), che cerca di acquisire e analizzare le caratteristiche comuni tra una serie di eventi. Naturalmente, è bene qui sottolinearlo, l’attività di linkage rappresenta una delle fasi più delicate dell’intero processo di indagine dal momento che molto spesso è tutt’altro che scontato e lineare riconoscere degli elementi comuni all’interno di una data mole di crimini analizzati. Ogni singolo caso infatti deve comunque e necessariamente essere analizzato a partire dalla sua “Unicità” dal punto di vista criminlogico e solo successivamente può, eventualmente, essere ricondotto ad una serie di atti criminali “omogenei”, ossia riconducibili ad una stessa “mano”.
Proprio tale ristretto ambito di applicazione (ossia i crimini violenti di matrice seriale) ha di fatto, se non proprio pregiudicato, quantomeno rallentato per molti versi lo sviluppo dell’efficacia applicativa di tale tecnica.
Il rapporto tra omicidi seriali e omicidi singoli è infatti esiguo. In una nazione europea come l’Italia in circa trent’ anni (1974-2003) sono avvenuti 125 omicidi attribuibili a serial killer a fronte di circa 20.000 omicidi singoli, commessi per varie motivazioni. In generale poi, nelle investigazioni sugli omicidi singoli il numero dei casi irrisolti è piuttosto elevato e si attesta nel mondo su una percentuale variabile (diversa per anno e area geografica) dal 40% al 60% dei crimini avvenuti. Ed è proprio su tale ambito che andrebbero concentrati i maggiori sforzi in termini di ricerca scientifica e potenziamento delle tecniche di analisi psicologica della scena del crimine. La maggior parte degli omicidi infatti, è bene qui ricordarlo, avviene tra persone che si conoscono. La vittima, ignara, nella maggior parte dei casi conosce già da tempo il proprio carnefice che di volta in volta può assumere le sembianze del volto di una madre, di un padre, di un figlio, di uno zio, di un amico, di un collega, di un ex fidanzato o di un vicino di casa. Pensiamo al caso di Erika&Omar, un’altra famigerata coppia assassina…..e naturalmente potremmo andare avanti per un bel pezzo perchè gli esempi “drammaticamente calzanti” sono davvero moltissimi. In tutti questi casi abbiamo a che fare con un soggetto che commetterà nell’arco della sua “carriera” criminale solo ed esclusivamente quel dato crimine che rappresenta, quindi, l’unica occasione per elaborare il suo profilo ed arrivare ad individuarlo per far si che paghi per ciò che ha commesso. E purtroppo nella vita reale troppo spesso sono proprio i “cattivi” a vincere la partita….forse è anche per questo che la gente si appassiona così tanto da sempre a trasmissioni televisive, film e libri gialli dal momento che all’interno delle loro trame anche il più diabolico e feroce dei criminali non riesce mai a mettere in scacco l’abilità dell’eroe di turno che riesce sempre a stanarlo ed assicurarlo alla giustizia seppur in mezzo a mille difficoltà. E questo per un attimo sembra in grado di rassicurarci, restituendoci per un momento l’immagine di un mondo molto più “giusto” ed ordinato rispetto a quello in cui viviamo.
Ecco perché negli ambienti investigativi (specie europei) si rileva quindi un elevato scetticismo sull’utilità del criminal profiling tradizionale come tecnica di supporto alle indagini dal momento che l’utilizzo di questo strumento è stato finora riservato al crimine violento seriale, o comunque a tipi particolari di crimini ripetuti dallo stesso autore (specie con motivazione sessuale), che statisticamente assumono una rilevanza minore nella casistica che si trova a trattare abitualmente un investigatore nel corso della sua carriera. Oltre al fatto, naturalmente, che la generalizzazione in ambito investigativo è tendenzialmente rischiosa poiché ogni criminale è unico sia per quanto riguarda il proprio stile comportamentale che per quanto riguarda i tratti di personalità. In tal senso il criminal profiling, pur talvolta di indubbia utilità, dovrebbe essere sempre considerato come un’ipotesi di lavoro e non come una corsia preferenziale verso la soluzione del caso.
La spiegazione alla base della scelta di impiegare il profiling prevalentemente (se non esclusivamente) nell’ambito dei crimini violenti di matrice seriale è piuttosto semplice. Una serie di omicidi o una serie di aggressioni sessuali sono crimini che vengono solitamente compiuti sulla spinta di particolari spinte motivazionali e fantasie che fanno parte stabilmente dell’universo psicologico dell’assassino e che ne connotano profondamente i vissuti ed i bisogni/desideri. In questi casi è molto più probabile ritrovare tracce di queste fantasie e di queste motivazioni nei crimini commessi da questo tipo di soggetti. Maggiore è la disponibilità di tali tracce comportamentali e tanto più accurata sarà l’elaborazione del profilo e quindi più
agevole il lavoro del profiler. Tutt’altro paio di maniche poter contare solo sulle informazioni raccolte in un singolo caso per elaborare il profilo dell’offender. Nonostante ciò l’impiego del profiling in una prospettiva investigativa, pur se con un certo scetticismo, è stato oramai accolto da molte Forze di Polizia di tutto il mondo.
Gli studi sulla validità scientifica del criminal profiling
Numerose critiche sono state mosse nei confronti di questa tecnica psico-investigativa. Si tratta di critiche centrate prevalentemente sul confine sfumato tra istinto e procedure scientifiche adottate dal profiler che influirebbe sull’intera scientificità del processo. In effetti molte pubblicazioni sul profiling, che descrivono nel dettaglio l’applicazione di tali tecniche, hanno evidenziato la tendenza a prendere più la forma di un romanzo o di un articolo giornalistico piuttosto che di una pubblicazione scientifica vera e propria.
Sul versante accademico molte recenti pubblicazioni che vantano nuove scoperte sul profiling e/o sugli assassini seriali sono spesso una rivisitazione o una critica di vecchie teorie ed evidenziano la mancanza di ricerche empiriche di supporto. In pratica molti testi sui serial killer sono stati scritti da studiosi che non hanno mai parlato con un assassino e molti articoli sulle tecniche di profiling sono stati scritti da persone che non sono mai state su una scena del crimine.
La maggior parte delle conoscenze attuali sulle tecniche di profiling permangono inoltre nel bagaglio culturale tramandato attraverso gli anni tra un profiler e l’altro, soprattutto nell’ambito delle Scuole di Polizia statunitensi. Le basi dati su cui è stato costruito l’impianto teorico non sono mai state pubblicate e offerte all’analisi della comunità scientifica e spesso si riferiscono a casistiche limitate. Un’altra critica all’attendibilità scientifica della tecnica è quindi legata alle possibili distorsioni che caratterizzano il passaggio orale del pensiero umano e alla scarsa circolazione e falsificazione scientifica dei contenuti teorici e delle esperienze di ricerca che non circolano liberamente nella comunità scientifica ma rimangono arroccate all’interno dei reparti di polizia investigativa. Completa l’opera la diffusione mediatica di profili criminali, tanto estemporanei quanto scontati, realizzati da criminologi non presenti sulla scena del delitto e non basati quindi sui riscontri medico-legali e criminalistici, ossia sulle uniche informazioni di matrice investigativa che possono essere utilizzate per elaborare un profilo criminale.
La credibilità data a maghi e sensitivi da alcuni ambienti di polizia (Geberth 1996), alimentata da una certa letteratura e cinematografia, ha generato ulteriori elementi di confusione tra una metodologia che cerca di assumere rigore scientifico e un mondo notoriamente affollato da esoterismo e truffatori. Ma questa è un’altra storia.
Riferimenti bibliografici
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Bruzzone R., et al., Omicidi a carattere seriale: un’analisi esplorativa in “Manuale di Criminologia Clinica” di Strano M. et al. (2003), See Editrice Firenze
Burgess, A. Douglas, J. Hartman, C., McCormack, A. Ressler, R., Sexual Homicide: A Motivational Model, Journal of Interpersonal Violence, Vol. 1, No.3, Sept. 1986, pp.251-272.
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Hazelwood. R.R., Ressler R.K., Depue R.L., & Douglas J.E. (1999) “Criminal Investigative Analysis: An Overview”, in Hazelwood, R.R., & Burgess, A.W. (Eds) Practical Aspects of Rape Investigation: A Multidisciplinary Approach, Boca Raton: CRC Press.
Pinizzotto, A. J., Finkel, N. J.: Criminal personality profiling: An outcome and process study, in: Law and Human Behavior, 14 (1990), pp. 215 – 234.
Ressler, R.K., & Shachtman, T. (1992). Whoever fights monsters. London: Simon & Schuster.
Rossmo, D.K., Geographic Profiling, CRC Press (2006)
Highlight 1 – le tappe storiche e letterarie del criminal profiling
1) Thomas Bond (1888) – medico legale in forza alla polizia londinese all’epoca degli omicidi di “Jack loSquartatore”, si era occupato dell’autopsia dell’ultima vittima dell’assassino seriale, Mary Kelly.
2) Edgard A. Poe (Auguste Dupin)
3) Conan Doyle (Sherlock Holmes)
4) Cesare Lombroso, il padre della Criminologia moderna
5) 1937: lo psichiatra J. Paul De River il cui profilo aveva permesso l’arresto di Albert Dyer, il brutale assassino di due bambine della contea di Los Angeles
6) 1943: Gli alleati, l’OSS e il profilo di Adolf Hitler da parte dello Psicologo W. Langer
7) 1956: NYPD e il caso di Mad Bomber – il profilo psicologico dello Psichiatra J.Brussel che ha condotto all’arresto di George Metesky
8) 1970: Los Angeles Police Department e Behavioural Science Unit (FBI Training Academy, Quantico)
9) 1985: National Centre for the Analysis of violent crime
10) 1990: David Canter e la Investigative Psychology
11) 1995: Kim Rossmo e il Geographic Profiling
Highlight 2 – le maggiori problematiche investigative che possono entrare in campo
– il processo di apprendimento intrinseco ai crimini di tipo seriale (attività criminale di tipo seriale) i copy cat crimes
– le false confessioni
– la paura suscitata nella collettività dalla serie di delitti
– l’interesse dei media
– la pressione di tipo politico
– la gestione del personale
– la coordinazione tra diverse forze di polizia coinvolte
– l’analisi e la gestione dei costi