A “pista fredda”: luci e ombre sul delitto di Garlasco – di Roberta Bruzzone
Testo gia’ utilizzato nella trasmissione TV “La scena del crimine” – IV edizione – scritto e condotto da Roberta Bruzzone, in onda su Teleroma56 e sul canale SKY GBR – 2009/2010
I principali errori commessi in fase investigativa
Che sia molto complesso risolvere un crimine in laboratorio è concetto ormai noto tra gli “addetti ai lavori” che si occupano di investigazione sulla scena del crimine e l’omicidio di Garlasco sembra rappresentare in maniera paradigmatica i limiti della scienza applicata all’analisi della scena del crimine. Un limite in primis di natura metodologica. Una lunga scia di elementi hanno sostanziato le molte ombre che hanno caratterizzato questa investigazione iniziata oltre 36 mesi fa. Le tracce di sangue, che di sangue poi non erano, trovate sui pedali della bici di Alberto Stasi, fidanzato della vittima e unico indagato; le impronte digitali che il ragazzo avrebbe lasciato sul portasapone; la contaminazione della scena del crimine; la controversa analisi del pc di Alberto con le tracce della cronologia alterate; il giallo della riesumazione di Chiara Poggi per l’acquisizione delle sue impronte digitali; l’analisi dei capelli trovati in una mano della vittima…e purtroppo la lista non è ancora finita. Ma andiamo per gradi e ripartiamo proprio dai pedali di una delle bici di Alberto. Nel settembre 2007 viene inviata alla procura di Vigevano una “relazione preliminare” che contiene l’accertamento sui pedali: è stato individuato un profilo genetico riconducibile, al di là di ogni ragionevole dubbio, alla vittima, secondo il RIS di Parma. Sempre secondo il Ris, su quei pedali c’è il sangue di Chiara Poggi. Se ne convince anche Rosa Muscio, il Pubblico Ministero incaricato del’indagine, che, sulla base di quella relazione, dispone il fermo di Alberto Stasi. È il 24 settembre del 2007, 42 giorni dopo il delitto. Il giorno seguente, il 25 settembre, il reparto scientifico dell’Arma manda una “nota tecnica” sugli esami del giorno prima: “Risultati”, ammette il documento, “comunicati senza “procedere a ulteriori accertamenti”. Un giorno dopo la consegna della relazione tecnica la posizione del Ris di Parma e’ dunque più sfumata: “Il profilo genetico relativo alla vittima” è solo “con elevata probabilità riconducibile a sangue”. Passano altri due giorni e il 27 settembre il Prof. Francesco Maria Avato, consulente tecnico della difesa di Stasi, invia le sue osservazioni alla Procura. Il Professore di Medicina Legale dell’Università di Ferrara spiega che le analisi del Ris non dimostrano “la presenza di emoglobina”. Quindi non si può parlare di sangue. Forse si tratta di saliva o di sudore fatto sta che il 28 settembre il GIP di Vigevano, la Dr.ssa Giulia Pravon, considera “insufficienti” gli indizi raccolti e scarcera Stasi.
E ora affrontiamo il capitolo impronte. Due impronte digitali sarebbero per l’accusa un’ulteriore prova a carico di Stasi: due ditate sul dispenser del sapone nel bagno al piano terra dove l’assassino si e’ (ragionevolmente) ripulito del sangue della vittima. Nella parte della consulenza tecnica dedicata agli accertamenti dattiloscopici si legge: “Appare comunque suggestivo che le uniche impronte dell’indagato, oltre a quelle rinvenute sul cartone per il trasporto della pizza, siano state evidenziate proprio sull’erogatore del sapone liquido, davanti al quale ha sostato l’omicida con le scarpe fortemente imbrattate del sangue della vittima”. Ma si tratta di due impronte che non consentirebbero una piena identificazione. Non dimentichiamo infatti che per la legge italiana un rilievo dattiloscopico ha valore probatorio certo solo quando ha almeno 16 punti (le cosiddette minuzie) in comune con l’impronta di una persona con cui viene comparato. Oltre alle tracce di sè che avrebbe lasciato Stasi, sulla scena del delitto sono state trovate molte altre impronte: dieci sarebbero del fratello di Chiara Poggi, due del padre, tre di un falegname che, qualche giorno prima dell’omicidio, aveva fatto dei lavori nella villetta di via Pascoli, e poi ci sono le impronte delle persone intervenute sulla scena a vario titolo quel giorno, tra cui molte impronte dei Carabinieri stessi. Ma andiamo avanti. Nella relazione del Ris ci sarebbero molte altre informazioni interessanti ed in particolare la presenza di “Numerose tracce per deposizione ematica” che si trovano sul pavimento del soggiorno, in direzione del corridoio, dove Chiara Poggi fu presumibilmente trascinata e poi spinta giù per le scale della cantina. Tracce di sangue con “un medesimo disegno”: “che ricorda nella forma la lettera greca lambda”. Segni che non
sembrerebbero appartenere né a suole di scarpa e nemmeno ai “depositi lasciati dalla cassa mortuaria”. Ma allora che cosa ha lasciato quei segni così caratteristici. Forse un divano spostato un po’ troppo frettolosamente durante le fasi iniziali dell’indagine, quando il sangue della vittima non era completamente asciutto? Sia ben chiaro…la mia è una semplice supposizione…. Ma non abbiamo ancora finito. Il 20 agosto, una settimana dopo il delitto, la salma di Chiara Poggi viene inaspettatamente riesumata. I tecnici del Ris devono NECESSARIAMENTE prendere le impronte digitali sul cadavere per effettuare l’esclusione con quelle raccolte sulla scena criminis. Ma qualcuno, in quei primi momenti piuttosto convulsi, come sempre del resto dopo la scoperta di un brutale omicidio, aveva semplicemente dimenticato di farlo…..
Altro capitolo decisamente controverso riguarda proprio le attività svolte sul pc di Alberto Stasi. Non dimentichiamo che il portatile di Stasi rivestiva un’importanza cruciale soprattutto in relazione a due aspetti: alibi e movente. Ma l’estrema delicatezza ed importanza di tale strumento non lo ha protetto da un modo di procedere che si è rivelato certo non all’altezza della situazione. Su questo punto gli esperti nominati del GUP non hanno dubbi sugli errori commessi dai Carabinieri. Il collegio peritale evidenziava che “le condotte di accesso da parte dei Carabinieri hanno determinato la sottrazione di contenuto informativo con riferimento al pc di Alberto Stasi pari al 73,8% dei files visibili (oltre 156mila) con riscontrati accessi su oltre 39mila files”. E a tal riguardo il GUP conclude: “non è più possibile esprimere delle valutazioni certe nè in un senso nè nell’altro: in questo ambito, il danno irreparabile prodotto dagli inquirenti attiene proprio all’accertamento della verità processuale». Questi i sintesi i principali errori investigativi che hanno segnato l’indagine sull’omicidio di Chiara Poggi, che ancora oggi resta un delitto impunito e senza un perchè.
La decisione del GUP Vitelli e le “super perizie”
Alla luce di tutto quanto detto sin qui il GUP di Vigevano, il Dr. Stefano Vitelli, decide di disporre una superperizia cheche coinvolge tutti i punti cruciali delle indagini. In particolare viene incaricato un collegio peritale multidisciplinare per affrontare ciascuno dei seguenti aspetti di questa delicata e controversa indagine:
- 1) perizia informatica, altro elemento cruciale nell’indagine per quanto riguarda il possibile alibi e il movente di Stasi, percapire se il contenuto del portatile è stato o meno inesorabilmente contaminato dai vari accessi fatti primache venisse consegnato ai tecnici del Ris di Parma. È questo, secondo il parere del GUP, uno dei passaggi di cruciale importanza dell’intero quadro accusatorio. Certo non poteva mancare un’ulteriore – – – – – Perizia medico-legale per accertare, una volta per tutte, l’ora della morte di Chiara e la dinamica del delitto.
- 2) Perizia chimica per stabilire se le macchie di sangue presenti sul pavimento della villetta del massacro erano ”essiccate”o meno al momento dell’ingresso di Stasi.
- 3) Perizia biologica per determinare la reale natura delle tracce del Dna della vittima rinvenute sui pedali della bicicletta di Alberto Stasi.
- 4) Perizia chimico/sperimentale richiesta dal GUP per sciogliere la ”questione controversa dell’idro-repellenza delle suole” ossia a dover spiegare perchè non sono state trovate tracce del sangue di Chiara se davvero Alberto è entrato in quella casa dopo il delitto.
Viene richiesta anche la ripetizione dell’accertamento fatto dal consulente della Procura, il Prof. Piero Boccardo,che ha simulato i percorsi di Stasi sulla scena del crimine.
Gli esiti delle “Super Perizie”
Il primo duro colpo alla tesi accusatoria arriva dalla perizia medico-legale. Secondo l’esperto medico legale Lorenzo Varetto l’aggressione a Chiara Poggi sarebbe avvenuta in due fasi diverse ma in un intervallo temporale che non si puo’ stabilire con ragionevole certezza e precisione. Ancora: non ci sarebbe sangue, ma materiale sconosciuto sui pedali della bici dell’unico imputato e le sue impronte miste al DNA della vittima sul dispenser portasapone del bagno dimostrano SOLAMENTE che entrambi lo hanno toccato. Nulla di piu’. Secondo il Prof. Varetto ”il dato e’ irrilevante al fine della costituzione di una prova scientifica”.Le conclusioni del medico-legale
sembrano irrobustire ulteriormente l’alibi di Stasi confermato dal contenuto del computer portatile su cui stava lavorando, secondo la relazione degli esperti informatici, dalle 9.36 alle 12.20 del giorno del delitto.
Anche la perizia chimica, firmata dal Professor Francesco Ciardelli, ordinario di chimica macromolecolare all’Universita’ di Pisa, sembra scagionare il giovane bocconiano dal momento che le macchie di sangue sarebbero gia’ state in parte o totalmente secche quando Alberto calpestava il pavimento della villetta di via Pascoli con scarpe in grado di disperdere eventuali tracce ematiche. Quindi esiste la reale possibilità che Stasi potesse non sporcarsi le scarpe quel giorno.
La seconda perizia conferma le conclusioni della consulenza medico legale in cui il professor Lorenzo Varetto, insieme ai colleghi Fabrizio Bison e Carlo Robino, ha sostenuto la possibilita’ che le Lacoste ”disperdano tracce eventualmente raccolte per calpestamento di limitate quantita’ di sangue”. Sangue che, secondo i medici legali, era in gran parte secco quando il bocconiano ha scoperto il cadavere della fidanzata.
E la perizia informatica non sembra discostarsi da quanto emerso sin qui. Nella loro relazione Roberto Porta e Daniele Occhetti, esperti informatici di Torino nominati dal gup Stefano Vitelli, hanno confermato l’alibi del giovane. Dal suo pc “irrimediabilmente compromesso” ( COSì COME LO DEFINISCONO I DUE CONSULENTI TECNICI) dalle operazioni effettuate dai carabinieri nei giorni successivi il delitto, sono pero’ riusciti insieme ai consulenti delle parti a estrapolare dati rilevanti: hanno dimostrato che Alberto la mattina dell’assassinio, il 13 agosto del 2007, apri’ il pc alle 9,36 e, dopo aver visionato foto erotiche, ha lavorato alla sua tesi fino alle 12,20.
E’ poi la volta dell’ultima superperizia ad essere depositata in ordine temporale. Questa volta a firmarla è il Prof. Nello Balossino, Docente all’Università di Torino in materia di elaborazione di immagini, suo il compito di stabilire se Alberto poteva non sporcarsi le scarpe di sangue la mattina del 13 agosto del 2007, quando scopri’ il cadavere della fidanzata nella villetta di via Pascoli. E anche dall’ultima consulenza tecnica emerge la possibilità che Stasi possa non essersi sporcato le scarpe con il sangue di Chiara Poggi. Insomma, punto dopo punto i dubbi sollevati dal GUP sembrano sciogliersi e l’assoluzione per Alberto Stasi sembra sempre piu’ vicina…
L’assoluzione di Alberto Stasi e le motivazioni della sentenza
Alberto Stasi è stato assolto il 17 dicembre 2009 dopo oltre 5 ore di Camera di consiglio. Il GUP di Vigevano Stefano Vitelli ha ritenuto che il ragazzo non sia colpevole della morte di Chiara Poggi, uccisa a Garlasco il 13 agosto 2007. La sentenza di assoluzione è stata emessa, al termine del processo di primo grado con rito abbreviato, in base all’articolo 530, secondo comma, del codice di procedura penale: stabilisce che deve essere pronunciata sentenza di assoluzione «quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova». Pochi giorni fa il Dr. Vitelli ha depositato le motivazioni della sentenza. Oltre 150 pagine in cui viene ripercorsa con rigore scientifico l’intera indagine e ne vengo evidenziati lucidamente tutti, i troppi, punti deboli.
Per Alberto Stasi I pm Muscio e Michelucci avevano chiesto la condanna a trent’anni di reclusione sulla base di quegli stessi elemento che hanno convito il Giudice Vitelli ad assolvere il giovane bocconiano. Alla lettura del dispositivo quel 17 dicembre Stasi scoppiato in lacrime affermando: «Lo sapevo, io non ho ucciso. Sono uscito da un incubo» mentre abbracciava i suoi avvocati. Amaro invece il commento di Rita Poggi, la madre della vittima: «Una sentenza che non rende giustizia». Il Prof.Giarda, a capo della difesa di Alberto stasi, ha spiegato all’epoca della formula assolutoria che «non si può, leggendo solo il dispositivo, sostenere che Alberto sia stato assolto con la vecchia formula dell’insufficienza delle prove perché potrebbe essere anche per mancanza di prove e quindi l’assoluzione essere senza condizione». Il Professore ha infatti spiegato che l’articolo 530 «prevede tre situazioni: la mancanza di prove, la contraddittorietà delle prove e l’insufficienza di prove.” E le motivazioni della sentenza hanno sciolto tale dubbio proprio qualche giorno fa. Queste le parole del GUP a conclusione del suo lavoro: “Quadro istruttorio da
considerarsi contraddittorio e altamente insufficiente a dimostrare la colpevolezza”. Cala così il sipario sul primo atto del processo che ha visto imputato l’ex studente anche se la famiglia Poggi ha annunciato che farà appello.
Al di la’ di ogni ragionevole dubbio, le motivazioni della sentenza
Sono davvero molti, decisamente troppi si potrebbe affermare, i punti critici dell’inchiesta analizzati dal GUP prima di emettere il verdetto. Li riassumo per chiarezza e dovere di sintesi:
L’ora della morte. Chiara è stata uccisa tra le 11 e le 11.30, secondo la prima versione dell’accusa. Nella requisitoria bis il pm Rosa Muscio sposta in avanti le lancette del decesso: la 26enne è morta dopo le 12.20 o meglio tra le 12.46 e le 13.26. Un cambiamento d’orario che segue la perizia informatica super partes che stabilisce, contrariamente da quanto affermato dalla consulenza del RIS di Parma, che Alberto, dalle 9.36 alle 12.20, lavorava al file della sua tesi di laurea. Una teoria che non trova d’accordo la parte civile (Chiara è morta tra le 9 e le 10) e la difesa secondo le quali Chiara è morta tra le 9.30 e le 10. Secondo il Dr. Vitelli “È più che ragionevole affermare che la morte della ragazza si collochi nell’asso temporale immediatamente successivo alla disattivazione dell’allarme perimetrale avvenuto alle 9.12”. Secondo il GUP dunque, in antitesi all’ultima tesi accusatoria, la vittima avrebbe quindi disattivato l’allarme per fare entrare in casa la persona che poi l’ha uccisa.
Le scarpe di Alberto. Secondo l’accusa sarebbe stato impossibile per Alberto non sporcarsi le suole calpestando il pavimento di casa Poggi al momento del ritrovamento del corpo esanime di Chiara. A spiegare le scarpe pulite, però, ci sono esperti in chimica: le suole del ragazzo sono idrorepellenti e potrebbe essersi ripulito continuandoci a camminare per ore, almeno 20 dal momento del ritrovamento del corpo della fidanzata. Del resto anche le scarpe dei Carabinieri entrati in casa Poggi subito dopo la segnalazione di Stasi non sono risultate sporche di sangue…
La bicicletta di Alberto. «Non è possibile precisare la natura del materiale biologico di Chiara Poggi, presente sui pedali» scrivono gli esperti super partes. Se è sangue per l’accusa, non si può escludere, precisa la difesa, che si tratti di muco o saliva. Senza contare che la bici analizzata non corrisponde alla descrizione fornita da una testimone oculare.
Il portasapone del bagno di casa Poggi. L’impronta di Alberto mista al Dna della vittima viene trovata sull’erogatore del sapone liquido all’interno del bagno dove l’assassino , con ogni probabilità, si è ripulito del sangue della vittima prima di lasciare la scena del crimine. Una prova schiacciante per l’accusa, ma per la difesa e i consulenti nominati dal giudice «la più ragionevole e semplice spiegazione è che i due abbiano entrambi toccato l’oggetto, in tempi e per un numero di volte del tutto sconosciuti». Elementi che rendono il dato «del tutto irrilevante al fine della costituzione di una prova scientifica», scrivono gli esperti.
L’ arma del delitto. Almeno una dozzina le armi che nel corso delle indagini si alternano: da un martello da carpentiere a un ferro da stiro, fino a una stampella. L’ultima novità arriva da una consulenza dell’accusa: Chiara è stata uccisa con un paio di forbici da sarto. Tutte ipotesi senza alcun riscontro sufficientemente apprezzabile sotto il profilo forense. In altre parole, ad oggi non vi è alcuna certezza sul tipo di oggetto utilizzato per assassinare Chiara.
Il portatile di Alberto. L’imputato ha sempre sostenuto di lavorare alla tesi di laurea mentre Chiara moriva quella mattina del 13 agosto 2007. Un alibi cancellato dagli accessi “sui generis” fatti dai carabinieri nel periodo successivo al delitto. Solo ad agosto scorso, due anni dopo l’omicidio, la perizia informatica dei consulenti del GUP ricostruisce quanto avvenuto la mattina del delitto sul portatile di Stasi. Alberto ha acceso il computer alle 9.35 e dalle 9.36 alle 12.20 ha salvato in continuazione il file della tesi. Alibi confermato dunque come sa sempre confermato dal giovane. E su questo punto il GUP non sembra avere alcun dubbio quando afferma che l’attività investigativa dei carabinieri sul computer di Stasi ha prodotto “effetti devastanti in rapporto
all’integrità complessiva dei supporti informatici. Il collegio peritale evidenziava che le condotte di accesso da parte dei carabinieri hanno determinato la sottrazione di contenuto informativo con riferimento al pc di Alberto Stasi pari al 73,8% dei files visibili (oltre 156mila) con riscontrati accessi su oltre 39mila files”. «Queste alterazioni – ha concluso il Gup – indotte da una situazione di radicale confusione nella gestione e conservazione di una così rilevante quanto fragile fonte di prova da parte degli inquirenti nella prima fase delle indagini ha comportato, in primo luogo, il più che grave rischio che ulteriori stati di alterazioni rimuovessero definitivamente le risultanze conservate ancora nella memoria complessiva del computer». L’opinione del giudice è drastica: «Gli accessi in questione hanno prodotto degli effetti metastatici rispetto all’esigenza di corretta e complessiva ricostruzione degli eventi temporali e delle attività concernenti l’utilizzo del computer nelle giornate del 12 e 13 agosto 2007. Rispetto dunque ad altre questioni probatoriamente rilevanti (come, ad esempio, il movente – occasione dell’omicidio) non è più possibile esprimere delle valutazioni certe nè in un senso nè nell’altro: in questo ambito, il danno irreparabile prodotto dagli inquirenti attiene proprio all’accertamento della verità processuale».
Il movente. Per i pm e la parte civile i due fidanzati litigano la sera precedente. Chiara potrebbe aver visto qualcosa sul computer dello studente. Una lite sfociata nell’omicidio del 13 agosto 2007. Ma non viene trovato nulla a supporto di tale chiave motivazionale del delitto. Le foto pedopornografiche di cui si è molto parlato e che, almeno inizialmente sembravano aver fatto luce sul movente di questo atroce delitto, in realtà erano state cancellate tutte tempo prima del 13 agosto 2007. Ed ecco che cosa afferma il Dr. Vitelli a riguardo nelle motivazioni: “Il racconto complessivo di Stasi in merito alle ore trascorse la sera in compagnia della propria fidanzata nell’abitazione di Via Pascoli risulta da un lato, privo di evidenti contraddizioni e dall’altro, realisticamente articolato”. E il GUP continua in relazione all’analisi del computer di Stasi: “il ragazzo era un grande appassionato di contenuti pornografici e in specie di immagini pornografiche, di cui lo stesso infatti aveva una collezione (di diverso genere) sicuramente imponente”, ma aggiunge che anche Chiara era a conoscenza di questa passione del fidanzato.
Oltre ogni ragionevole dubbio: Nel valutare il quadro istruttorio «contraddittorio ed altamente insufficiente», il Gup si è basato sulla «fondamentale regola probatoria e di giudizio dell’oltre “ogni ragionevole dubbio”». Quest’ultimo, a parere del Gup, «non deve essere certo inteso come un mero dubbio possibile (…) quanto di una situazione finale di concreta incertezza che rimane, una volta esaminati tutti gli elementi processuali a disposizione, nel giudizio logico/probatorio di ascrivibilità del fatto all’imputato: il dubbio non è astratto o meramente immaginario ma diventa concreto e ragionevole, laddove si fondi appunto (come nel caso di specie) su evidenze processualmente emerse». Per il giudice «così rettamente intesa questa finale regola probatoria e di giudizio rappresenta non solo l’attuazione di fondamentali principi costituzionali ed un imprescindibile pilastro di uno stato liberl-democratico (nel senso più alto e nobile) ma anche e prima ancora un naturale richiamo etico per ogni uomo giusto e ragionevole».
Alberto Stasi è stato assolto anche in Appello. Entro maggio del 2013 è attesa la decisione della Corte di Cassazione.