Come diventare criminologo: risponde Roberta Bruzzone
“Sono sempre di più le donne che vogliono diventare criminologhe come me. E penso che il merito sia anche un po’ mio, devo averle ispirate e ne sono felice perché questa è una professione difficile ma appassionante. Anche grazie ai miei interventi da molti anni nei programmi di cronaca che trattano i casi più complicati, tante telespettatrici si sono interessate a questa professione. Ma attenzione: è un mestiere che comporta tanto studio e tanti sacrifici e che quindi va affrontato con grande serietà”.
Roberta Bruzzone, la criminologa investigativa più famosa della televisione, che si occupa da molti anni dei principali delitti che hanno colpito l’immaginario dell’opinione pubblica, tra cui il caso di di Sarah Scazzi e Melania Rea, ci racconta come si fa a diventare criminologi investigativi.
Roberta, cosa fa esattamente un criminologo investigativo. E che differenza c’è con un investigatore o un commissario?
“Premetto che ci sono diverse tipologie di criminologi: ci sono i criminologi penitenziari che operano a supporto della Magistratura di sorveglianza nella delicata fase dell’esecuzione della pena nell’ottica della risocializzazione e del reinserimento sociale dei detenuti, ai criminologi che si occupano di ricerca accademica in svariati ambiti. Poi ci sono quelli come me, i cosiddetti criminologi investigativi, che, proprio come indica la definizione stessa, si occupano di investigazione soprattutto nei crimini di matrice violenta (omicidio, stalking e violenza sessuale). Sono dei professionisti che, grazie alle competenze in area tecnico-scientifica e psicologico-forense, sono in grado di applicare strumenti conoscitivi criminologici “tradizionali e non” al mondo delle investigazioni criminali. Negli Stati Uniti vengono chiamati “profiler”, in sintesi un soggetto capace di entrare nella mente criminale e di comprenderne il funzionamento, con una vasta esperienza in ambito investigativo e capace di processare le informazioni raccolte sulla scena del crimine secondo una logica stringente in cui i fatti, e soltanto quelli, la fanno da padrone. Ecco, questa è la parte principale del mio lavoro. A differenza dell’investigatore tradizionale appartenente alle forze dell’ordine, il criminologo investigativo possiede una competenza più ampia che gli/le permette di affrontare e considerare tutti i molti aspetti del caso che gli/le viene sottoposto”.
Come si diventa criminologi? C’è una laurea specifica?
“Devo premettere che, anche se in Italia è riconosciuta la competenza criminologica specialistica associata a diverse professionalità, non esiste un albo dei criminologi vero e proprio, come esiste invece in altre professioni quali lo psicologo (come nel mio caso), l’avvocato, il medico o il giornalista ad esempio. Non esiste neppure una laurea specifica in ambito criminologico-investigativo. È bene fare chiarezza sul punto. Per fare questo lavoro è indispensabile prima di tutto laurearsi in psicologia o, in subordine, in giurisprudenza o in medicina. Questi sono i percorsi di studi che consentono realistiche possibilità di accesso alla professione (la laurea in Psicologia in primis). Ma non basta: bisogna anche specializzarsi attraverso un lungo percorso formativo post laurea. Io sono laureata in psicologia, sono iscritta da molti anni all’Albo degli Psicologi e ho fatto diversi corsi di specializzazione sia in Italia che negli Stati Uniti sia in ambito criminologico che per approfondire lo studio delle Scienze Forensi. Questa è una professione che impone un continuo aggiornamento e quindi bisogna amare profondamente lo studio di queste materie. È proprio per questo motivo che ho fondato nel 2009 l’Accademia Internazionale delle Scienze Forensi (AISF) proprio per consentire una formazione specialistica pratica in questo campo anche nel nostro paese.”.
Quali sono quindi gli sbocchi professionali per un criminologo investigativo?
“Si può lavorare sia per la magistratura, sia per la difesa, sia per la parte civile. Sono diversi i possibili interlocutori professionali. Spesso infatti vengo nominata proprio dalle famiglie delle vittime in varie tipologie di casi per fare chiarezza nelle vicende che hanno riguardato tragicamente un loro congiunto. Non solo nei casi di omicidio ma anche nei casi di persone scomparse e di “morte equivoca” (presunto suicidio). L’ultimo caso di questo tipo che sto seguendo è quello di Mario Biondo, il cameraman palermitano che viveva a Madrid con sua moglie e che la notte del 30 maggio 2013 è stato trovato morto all’interno della sua abitazione in circostanze che stiamo chiarendo una volta per tutte. La magistratura spagnola chiuse il caso piuttosto frettolosamente sostenendo il suicidio. Ma i genitori non ci hanno mai creduto e mi hanno nominato per ricostruire i fatti nella loro interezza. Questo è solo un esempio del tipo di lavoro che svolgo”.
Quali sono i casi che le hanno dato più soddisfazione dal punto di vista professionale?
“Potrei citarne moltissimi. Ma in primis c’è il caso Scazzi in cui ritengo di aver svolto un ruolo importante. Ero stata nominata nel novembre del 2010 dall’avvocato di Michele Misseri per aiutarlo a ricostruire la vicenda. E durante un colloquio in carcere, Michele mi rivelò per la prima volta che ad uccidere Sarah era stata la figlia Sabrina. Indubbiamente si è trattato di un caso molto importante in cui ho avuto modo di dare un contributo per la ricerca della verità sulla morte di Sarah”.
Quali sono i pro e i contro?
“Posso dire che è una professione meravigliosa perché ha a che fare con la ricerca della verità e ti consente di sentirti utile ogni giorno per tante persone. L’aspetto negativo è che per tutto il resto ti lascia solo le briciole, soprattutto nei confronti della vita privata. Si viaggia tanto, non ci sono orari, non esistono Natale, Capodanno, feste di compleanno o ricorrenze varie. Se c’è da lavorare a un caso bisogna prendere e andare. E non tutti sono in grado di sopportare a lungo una compagna o una moglie che c’è un po’ a “singhiozzo”. Non è facile trovare un compagno che accetti uno stile di vita decisamente poco “casalingo” e che non entri in “competizione”. Insomma è una professione dura. Io sono stata molto fortunata perché convivo con un uomo straordinario, anche lui un affermato e stimato professionista, che sa comprendermi e che non si mette in competizione con me: si chiama Massimo Marino ed è un funzionario della Polizia di Stato. Avere al fianco la persona giusta fa davvero la differenza, ora lo posso dire con piena cognizione di causa. In passato non è stato così”.
Come è nata in lei la passione per questa professione?
“E’ nata con me, praticamente. Questo interesse lo coltivo sin da quando ero bambina. Ho preso in mano il mio primo libro di Scienze Forensi a 10 anni. E da allora non mi sono più fermata. Ritengo di essere stata davvero molto fortunata perché faccio esattamente ciò che sognavo di fare da sempre. Ma indubbiamente arrivare a questo punto mi è costata molta fatica e impegno”.
Ma è vero che sempre più donne sono attratte da questo lavoro?
“Si, credo proprio di sì. Sulla mia pagina pubblica di Facebook (Roberta Bruzzone Criminologa seguita da più di 450mila mila persone), arrivano tantissime richieste di informazioni soprattutto da parte di donne/ragazze proprio in merito alla mia professione. E io rispondo a tutti soprattutto per chiarire come stanno veramente le cose, ossia ben diversamente da ciò che viene rappresentato nelle fiction dedicate a questi temi”.