Criminologi, investigatori, profiler…?
Facciamo un po’ di chiarezza su termini spesso usati in modo errato
I criminologi, nell’accezione più tradizionale, sono coloro che studiano il comportamento criminale. Normalmente in Italia trovano impiego soprattutto in ambito penitenziario, come supporto della magistratura di sorveglianza nel delicato compito di individuare le modalità più idonee per l’esecuzione della pena, nell’ottica della risocializzazione e del reinserimento dei detenuti. In tale contesto va detto però che i criminologi in azione sono davvero pochissimi. Per riuscire a adempiere a tale compito, il criminologo “tradizionale” può attingere da numerose discipline tra cui:
- psicologia
- la sociologia
- la psichiatria
- la medicina
Esiste poi un particolare ambito della criminologia, quello in cui colloco anche il tipo di lavoro che svolgo da molti anni, ossia la cosiddetta “criminologia investigativa”, che si concentra principalmente sull’applicazione degli strumenti conoscitivi criminologici “tradizionali e non” al mondo delle investigazioni criminali. È qui che entra in campo la figura del criminologo profiler, un soggetto essenzialmente dotato di:
- buon intuito e grande capacità di osservazione
- abile nell’entrare nella mente criminale e di comprenderne il funzionamento
- fornito di una vasta esperienza investigativa e di un adeguato background accademico nel ramo della psicologia investigativo-forense
- capace di processare le informazioni raccolte sulla scena del crimine secondo una logica stringente in cui i fatti, e soltanto quelli, la facciano da padrone
Sono queste, in sintesi, le qualità e le competenze che occorre possedere per intraprendere tale professione. Già, ma come fare ad acquisirle? In altre parole, come si diventa un buon criminologo profiler?
I “venditori di fumo”
A questo punto, purtroppo, lo scenario si complica, a cominciare dalla (a dir poco) nebulosa definizione del percorso formativo ed esperienziale in grado di formare tale figura professionale in maniera efficace, almeno in Italia. Con ogni probabilità, questa scarsa trasparenza è stata alimentata ad arte da alcuni criminologi, aspiranti Sherlock Holmes sui generis, esterni (e non solo) alle forze di polizia che hanno fatto passare nell’opinione pubblica il messaggio, fuorviante e decisamente pericoloso, che sia possibile risalire al profilo di personalità di un assassino (ipotizzando addirittura di poter arrivare così all’individuazione del colpevole) semplicemente attraverso i resoconti del caso forniti dai giornali (!).
Del resto questi soggetti, non avendo mai ricevuto incarichi né avendo mai operato sulla scena del crimine, possono alimentare la loro discutibile professionalità solo attraverso i resoconti giornalistici. Normalmente si tratta di soggetti che in televisione o nei convegni vanno a parlare di casi di cui però si stanno occupando altri professionisti. E dall’estrema superficialità delle valutazioni che forniscono si evince molto rapidamente la loro totale mancanza di reali competenze ed esperienza sul campo. Si tratta di una nuova mutazione virulenta dei cosiddetti smoke sellers (“venditori di fumo”) che si ammantano di mistero davanti alle telecamere per coprire la loro mancanza di conoscenze specifiche e di curriculum.
Tale atteggiamento di fatto ha fortemente minato la credibilità dell’intera categoria dei criminologi, in primis, e di conseguenza dei profiler, negli ambienti investigativi e, cosa ancora più grave, ha subdolamente alimentato le illusioni di moltissimi giovani, desiderosi di intraprendere tale professione attraverso la sola frequenza di uno dei tanti costosissimi corsi e master che oggi affollano il mercato formativo pre e post laurea italiano.
Molto spesso tali percorsi di studio sono contraddistinti da un livello inversamente proporzionale tra costi e benefici.
Basta con gli equivoci
Ritengo quindi sia doveroso, oggi più che mai, sgombrare il campo da questo grosso equivoco: in Italia non è possibile operare come profiler al di fuori dei reparti specializzati delle maggiori agenzie investigative istituzionali (Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza). E anche una volta all’interno di tali organizzazioni è assai improbabile essere impiegati come profiler perché i posti sono pochissimi. Di fatto, a tutt’oggi, l’unico reparto che svolge attività di criminal profiling realmente sul campo è il Reparto analisi criminologiche dei Carabinieri, mentre le collaborazioni esterne o in ambito giudiziario (in qualità di CTP, consulente tecnico di parte, e/o di CTU, consulente tecnico d’ufficio, con incarichi di matrice criminologico-investigativa e criminalistica, come nel mio caso) rappresentano l’eccezione, non certo la regola.
Tali collaborazioni sono legate a particolari professionalità, soprattutto per quanto riguarda l’intervento diretto sulla scena criminis, e sono subordinate imprescindibilmente al possesso di determinati titoli e certificazioni forensi (che nulla hanno a che vedere con quanto viene prospettato dalla maggior parte delle iniziative formative oggi disponibili nel nostro paese).
Partire con il piede giusto
Per quanto riguarda nello specifico l’attività di consulenza tecnica forense e investigativa in qualità di libero professionista, i corsi di laurea che offrono un maggior livello di accesso alla professione sono solo quelli in psicologia, medicina e giurisprudenza; al di fuori di questi percosri formativi è oltremodo difficile operare in ambito criminologico, e ancora più improbabile se consideriamo l’ambito criminologico-investigativo.
Tratto da “Chi e’ l’assassino – Diario di una criminologa” di Roberta Bruzzone ( Ed. Mondadori 2012) – tutti i diritti riservati