Savona. La capacità di intendere e volere di Alessio Alamia al momento dell’omicidio dell’ex fidanzata Janira D’Amato, uccisa il 7 aprile del 2017 con 49 coltellate nella casa del ragazzo in piazzetta Morelli a Pietra Ligure. E’ stato questo il tema al centro della quarta udienza del processo che, questa mattina, ha visto susseguirsi in aula le deposizioni del perito nominato dal gip di effettuare la perizia psichiatrica sull’omicida in sede di incidente probatorio e dei consulenti delle parti tra cui la criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone nominata dalla famiglia della vittima.
Ovviamente durante le deposizioni del perito e dei consulenti del pubblico ministero e della parte civile non ci sono state sorprese: tutti hanno confermato le conclusioni della perizia svolta in incidente probatorio, ovvero che Alamia, anche considerando alcuni tratti della sua personalità ritenuta narcisistica e disturbata, era capace di intendere e di volere e di stare in giudizio. Una tesi che è stata completamente contestata dal consulente della difesa, il dottor Pietro Pietrini (nominato dopo che la perizia psichiatrica era già stata eseguita dal legale dell’imputato, l’avvocato Laura Razetto) secondo cui, al contrario, l’omicida ha una un disturbo misto di personalità (un disturbo dipendente e uno border line) e per questo motivo si trovava in condizione di stato di mente alterato e al momento del delitto aveva quantomeno una capacità gravemente scemata di intendere. Per il consulente della difesa, quindi, Alamia ha un vizio (almeno) parziale di mente ed ha commesso un reato d’impeto perché in quel momento aveva un controllo gravemente compromesso sulle sue azioni.
Conclusioni dopo le quali il perito Gabriele Rocca ha replicato sottolineando che nel suo lavoro non ha mai definito Alamia come “assolutamente normale”. “Lo era in relazione al suo assetto funzionale” ha detto il Professore di Psicopatologia Forense che ha precisato come, dal punto di vista medico legale e non psiachiatrico, non ritiene ci siano dubbi sull’assenza di vizi di mente tali da condizionare la capacità di intendere dell’imputato: “In qualsiasi modo si vogliano definire o interpretare i tratti di personalità di Alamia non interferivano con la sua capacità di capire che non si uccide una persona. Nella sua vita lui sapeva perfettamente quello che faceva e orientava le sue aspettative rispetto alle scelte che faceva”.
In aula è anche emerso un particolare relativo all’inizio delle operazioni peritali su Alamia. Al primo colloquio in carcere coi consulenti, l’omicida ha esordito sostenendo che la sua fidanzata non era morta. “Si chiama pseudo demenza isterica ed è una forma di difesa che può sfociare appunto in un atteggiamento simulatorio finalizzato ad ottenere vantaggio. Quando ha visto che su di noi non faceva presa ha cessato questo atteggiamento” ha spiegato il dottor Gianluigi Rocco, il consulente del pm Elisa Milocco.
Nell’udienza di oggi, oltre a concentrarsi sulle conclusioni della perizia psichiatrica sull’imputato, si è parlato nuovamente anche del delitto ed in particolare della dinamica con cui sarebbe avvenuto. Un argomento che è stato toccato sia dal medico legale Marco Canepa, che aveva effettuato l’autopsia sulla vittima, che dalla consulente della famiglia Roberta Bruzzone. Infine l’ingegnere Francesco Picasso, nominato dal pm, si è soffermato sull’analisi dei cellulari di vittima e omicida riferendo in particolare della “famosa” ricerca fatta il 5 aprile 2017, navigando dallo smartphone, da Alamia che aveva digitato su google le frasi “Uccidere persone”, “Come uccidere una persona” e “Uccisione senza traccia”.
UN SOGGETTO PARASSITARIO”: L’ANALISI DELLA CRIMINOLOGA BRUZZONE
La nota criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone, nominata come consulente di parte dalla famiglia di Janira D’Amato, non solo ha partecipato alle operazioni peritali, ma ha anche svolto un sopralluogo sulla scena del crimine per ricostruire la dinamica dell’omicidio.
“Il quadro che emerge è quello di una persona narcisistica. Durante i colloqui Alessio disse che Janira lo doveva mantenere. Siamo davanti ad una struttura della personalità improntata in maniera narcisistica: lui vedeva in Janira una figura da cui dipendere. Era un soggetto senza una capacità empatica e che ha progettato una vendetta. Dopo il delitto cercava di ripararsi dalla colpa dicendo che era stato aggredito e che si era difesa o che lei picchiava il cane.
E’ un soggetto con personalità narcisistica, ma non ritengo sia border line perché secondo me lui sa perfettamente dove vuole andare a parare. Faceva spesso leva sul senso di colpa di Janira che, avendo un legame affettivo con lui, cercava di accudirlo. Lui era un parassita, voleva sfruttarla per gratificare se stesso sotto ogni punto di vista come quello economico o sessuale”
L’OMICIDIO: “AGGREDITA ALLE SPALLE”
Sulla dinamica dell’aggressione fatale, la criminologa Roberta Bruzzone, sulla base dell’analisi delle tracce di sangue sulla scena del crimine ha effettuato delle ipotesi molto precise e circostanziate.
“Nell’appartamento, un ambiente molto piccolo, abbiamo un imbrattamento ematico molto specifico, con tracce su pareti ed arredi esigue. Secondo me l’aggressione inizia alle spalle, con le coltellate in testa dopo le quali Janira è caduta a terra, e poi Alamia è salito a cavalcioni su di lei e l’ha trattenuta giù. Lui colpisce nel collo almeno tre volte, lesionando carotide e giugulare. Sono ferite che, se fatte ad un soggetto in piedi, provocherebbero un vasto schizzo di sangue, ma non ci sono tracce ematiche compatibili con questa evenienza. Le lesioni sul collo e le tracce di sangue rilevate sul pavimento mi dicono che assassino l’ha colpita mentre era a terra. Inoltre tutte le lesioni frontali hanno margini frastagliati perché il coltello aveva già la punta rotta, mentre quelle in testa sono precise.
Dopo l’omicidio Alamia ha poi girato la vittima a faccia in giù come il corpo è stato trovato dai soccorritori. E’ un meccanismo psicologico per nascondere quello che ha fatto che in inglese si chiama ‘undoing’. Non è una condotta finalizzata a depistare le indagini, ma volta a tutelare psiche dell’omicida che allontana da sè i riscontri oggettivi di quanto successo.