Roberta Bruzzone: come e perché sono diventata Criminologa Investigativa
Siamo abituati a vederla, grintosa e determinata, su giornali e televisioni, mentre racconta l’evoluzione dei casi di cui si occupa. Capelli biondi, occhi azzurri e il chiodo di pelle nera da grande appassionata delle due ruote. La sua capacità di catalizzare l’attenzione, grazie alla sua preparazione e all’abilità nell’utilizzo di tutti i mezzi d’informazione, le ha procurato, da qualche anno a questa parte, gli oneri e gli onori della celebrità. Si tratta di Roberta Bruzzone, Criminologa Investigativa e Psicologa Forense di grande esperienza, che riesce sempre a far parlare di sé e del suo lavoro, che svolge con grande entusiasmo e competenza. Ma qual è il confine tra la professionista, la persona e il personaggio? Quale percorso formativo l’ha condotta a vestire i panni di Consulente in molti tra i casi alla ribalta della cronaca? E come riesce a destreggiarsi tra i vantaggi e gli svantaggi che la sua personalità forte le ha portato nel suo cammino professionale? È lei stessa a raccontarci chi è realmente Roberta Bruzzone e a trarre un bilancio del viaggio fatto finora, tra successi e polemiche, soddisfazioni e pregiudizi, sottolineando che il lavoro del Criminologo ha poco a che vedere col patinato mondo della TV e delle trasmissioni che si occupano di cronaca nera. Quando i riflettori e le telecamere si spengono, restano solo scelte coraggiose, da compiere col tempismo necessario che dirà se si riveleranno giuste o sbagliate. Restano i continui dubbi contro i quali soltanto uno studio costante può opporsi, dando un senso alle certezze che verranno. Resta la consapevolezza delle giornate di duro lavoro, senza sosta, in cerca della verità, spesso distanti dai propri affetti, tanto faticosamente cercati. E non c’è nulla di più personale del tempo passato lontano da casa a fare ciò che di più si ama al Mondo.
Roberta Bruzzone, Psicologa Forense, Criminologa Investigativa e Criminalista di grande esperienza che, con la sua personalità e determinazione, incarna le aspirazioni di molti studiosi e professionisti: chi è e che ruolo svolge, o potrebbe svolgere, il criminologo al giorno d’oggi? Che differenze ci sono tra l’Italia e il resto del Mondo?
Esistono diverse tipologie di Criminologi: ci sono i Criminologi Penitenziari, che operano a supporto della Magistratura di sorveglianza nella delicata fase dell’esecuzione della pena, nell’ottica della risocializzazione e del reinserimento sociale dei detenuti e i Criminologi che si occupano di ricerca accademica in svariati ambiti. Poi ci sono quelli come me, i cosiddetti Criminologi Investigativi, che, proprio come indica la definizione stessa, si occupano di investigazione, soprattutto nei crimini di matrice violenta (omicidio, stalking e violenza sessuale). Sono dei professionisti che, grazie alle competenze in area tecnico-scientifica e psicologico-forense, sono in grado di applicare strumenti conoscitivi criminologici “tradizionali e non” al mondo delle investigazioni criminali. Negli Stati Uniti vengono chiamati “Profiler”: in sintesi un soggetto capace di entrare nella mente criminale e di comprenderne il funzionamento, con una vasta esperienza in ambito investigativo e capace di processare le informazioni raccolte sulla scena del crimine secondo una logica stringente in cui i fatti, e soltanto quelli, la fanno da padrone. Ecco, questa è la parte principale del mio lavoro. A differenza dell’investigatore tradizionale, appartenente alle forze dell’ordine e non, il Criminologo Investigativo possiede una competenza più ampia che gli/le permette di affrontare e considerare tutti i molti aspetti del caso che gli/le viene sottoposto.
Dalle specializzazioni in Psicologia Forense, alle numerose esperienze come docente che cerca di trasmettere il grande impegno che occorre per passare dallo studio dei testi scientifici all’apparente caos di una scena del crimine: quanto è importante la formazione continua per chi voglia intraprendere la carriera di criminologo?
Devo premettere che, anche se in Italia è riconosciuta la competenza criminologica specialistica associata a diverse professionalità, non esiste un Albo dei Criminologi vero e proprio, come esiste invece in altre professioni quali lo Psicologo, (come nel mio caso), l’Avvocato, il Medico o il Giornalista, ad esempio. Non esiste neppure una Laurea specifica in ambito criminologico-investigativo. È bene fare chiarezza sul punto. Per fare questo lavoro è indispensabile prima di tutto laurearsi in Psicologia o, in subordine, in Giurisprudenza o in Medicina. Questi sono i percorsi di studi che consentono realistiche possibilità di accesso alla professione (la Laurea in Psicologia prima di tutto). Ma non basta: bisogna anche specializzarsi attraverso un lungo percorso formativo post Laurea. Io sono laureata in Psicologia, sono iscritta da molti anni all’Albo degli Psicologi e ho fatto diversi corsi di specializzazione sia in Italia, che negli Stati Uniti, sia in ambito criminologico, sia per approfondire lo studio delle Scienze Forensi. Questa è una professione che impone un continuo aggiornamento e quindi bisogna amare profondamente lo studio di queste materie. È proprio per questo motivo che ho fondato, nel 2009, l’Accademia Internazionale delle Scienze Forensi (AISF), proprio per consentire una formazione specialistica pratica in questo campo anche nel nostro Paese.
Televisioni, giornali, Social Network: quando si parla di cronaca nera il confine tra informazione e intrattenimento sembra assottigliarsi. Qual è il suo personale equilibrio per riuscire a barcamenarsi tra la poltrona di un salotto televisivo e quella del salotto di casa? Che ruolo hanno, o dovrebbero avere, i mezzi di informazione nella risoluzione dei crimini?
Chiariamo un punto: le indagini non si possono fare seduti comodamente in poltrona, che sia quella di casa o quella di un cosiddetto salotto tv poco importa. E di aspiranti investigatori da poltrona o da tastiera ce ne sono davvero troppi ormai. Chi, come me, da oltre quindici anni, si occupa di crimini violenti (omicidi, violenze sessuali, stalking, pedofilia, etc.) sulla scena del crimine, la differenza tra “investigare sul campo direttamente” e “parlare di indagini che altri hanno svolto o stanno svolgendo” la conosce fin troppo bene. Sono stata, e sono tuttora, molto spesso coinvolta in qualità di Consulente Tecnico in vicende che ottengono grande attenzione mediatica e conosco bene il coefficiente di distorsione dei fatti che, se non si presta la debita attenzione, i media possono inserire nel modo in cui fatti e circostanze vengono raccontati, a volte anche in palese malafede e per favorire interessi personali. La gente, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha competenze di alcun genere in questo ambito e commenta a vanvera, convinta di trovarsi in una puntata della serie TV CSI. Ma non è così semplice. Occorrono competenze specifiche ed esperienza sul campo. Questa non è una professione che si impara sui libri o attraverso i telefilm. Dopo il caso Yara, ormai, in Italia sono diventati tutti “presunti genetisti” oltre che “presunti investigatori e criminologi”. Ed il livello di confusione e disinformazione è in continuo aumento. Oggi è sempre più difficile discriminare tra le “buone informazioni” e le “bufale”. E di gente che, come la sottoscritta, prima di parlare di un caso se lo studia nel dettaglio attraverso gli atti ce n’è sempre meno…
I suoi studi e la sua esperienza l’hanno resa anche un’abile divulgatrice della carta stampata, come dimostra uno dei suoi ultimi libri, “Chi è l’assassino. Diario di una criminologa”, edito da Mondadori. Come si sente nei panni di scrittrice e quali sono i suoi progetti per il futuro in merito?
Oltre a “Chi è l’assassino. Diario di una criminologa”, edito da Mondadori nel 2012, ho scritto numerosi altri libri dedicati ad alcuni casi di cui mi sono occupata in qualità di Consulente Tecnico (tra cui “Segreti di famiglia – il delitto di Sarah Scazzi”, Aracne, 2013 e “Il grande abbaglio – il caso di Enrico Forti”, Curcu & Genovese, 2013). Mi piace molto rivestire i panni di scrittrice e nel 2016 usciranno altri due miei libri, che sto scrivendo proprio in questo periodo, dedicati a temi scottanti come il lato oscuro dei Social Media e come riconoscere ed evitare un amore “sbagliato”, prima che sia troppo tardi.
Il suo impegno come professionista e come donna a favore delle donne, non più vittime inermi, ma risorse in ogni campo, le ha portato numerosi riconoscimenti. Che consiglio darebbe a una giovane che, prendendo ad esempio la sua carriera, volesse seguire le sue orme? È ancora possibile oggi, secondo lei, fare della propria aspirazione un mestiere, superando ostacoli e pregiudizi?
Posso dire che la mia è una professione meravigliosa, perché ha a che fare con la ricerca della verità e ti consente di sentirti utile ogni giorno per tante persone. L’aspetto negativo è che per tutto il resto ti lascia solo le briciole, soprattutto nei confronti della vita privata. Si viaggia tanto, non ci sono orari, non esistono Natale, Capodanno, feste di compleanno o ricorrenze varie. Se c’è da lavorare a un caso bisogna prendere e andare. E non tutti sono in grado di sopportare a lungo una compagna o una moglie che c’è un po’ a “singhiozzo”. Non è facile trovare un compagno che accetti uno stile di vita decisamente poco “casalingo” e che non entri in “competizione”. Insomma è una professione dura. Io sono stata molto fortunata perché convivo con un uomo straordinario, anche lui un affermato e stimato professionista, che sa comprendermi e che non si mette in competizione con me: si chiama Massimo Marino ed è un funzionario della Polizia di Stato. Avere al fianco la persona giusta fa davvero la differenza, ora lo posso dire con piena cognizione di causa. In passato non è stato così.
Quale caso della sua carriera ha richiesto maggiori energie come investigatrice? E quale storia, invece, è rimasta più impressa nella sua memoria e nel suo cuore come persona?
Potrei citarne moltissimi. Ma, in primis, c’è il caso di Sarah Scazzi in cui ritengo di aver svolto un ruolo importante. Ero stata nominata nel novembre del 2010 dall’avvocato di Michele Misseri per aiutarlo a ricostruire la vicenda. E, durante un colloquio in carcere, Michele mi rivelò per la prima volta che ad uccidere Sarah era stata la figlia Sabrina. Indubbiamente si è trattato di un caso molto importante in cui ho avuto modo di dare un contributo per la ricerca della verità sulla morte di Sarah. Ma non esistono casi di serie A e di serie B: do sempre il massimo perché la posta in gioco è altissima e non ho mai tradito la fiducia di chi mi incarica per far luce su vicende complesse.