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Aspiranti Kamikaze: Tecniche di persuasione e reclutamento via Internet

Le tecniche di reclutamento nell’epoca di Internet: come diventare un “Foreign fighter” in pochi clic… da “recluta virtuale” a kamikaze il passo è molto più breve di quanto ci piacerebbe credere…

Sono davvero in molti, migliaia a quanto sembra, i ragazzi europei tra i 18 e i 25 anni pronti ad affiancare il terrorista incappucciato di origine londinese che si è reso protagonista di un video che riprendeva, attimo dopo attimo, la brutale esecuzione del giornalista James Foley. E tra questi, secondo i nostri servizi di intelligence, ci sarebbero anche almeno 50 ragazzi italiani, tutti reclutati via internet e pronti a morire ovunque vengano inviati per la Jihad, la famigerata (ma evidentemente assai intrigante per soggetti profondamente vulnerabili sotto il profilo psicologico) “guerra santa” islamica. E si tratterebbe non di figli di immigrati ma di italiani (eh già…) recentemente convertiti all’Islam, quasi tutti maschi, tutti giovanissimi. Si tratta (letteralmente) di aspiranti terroristi “della porta accanto”.

Ragazzi all’apparenza indistinguibili da tutti gli altri coetanei, anonimi, invisibili, in cerca del loro “posto nel mondo”. E vulnerabili, terribilmente vulnerabili e suggestionabili. Prodotto di scarto di una società, quella occidentale, decadente e decaduta, incapace di offrire realistiche prospettive alle generazioni più recenti. Tutti pronti ad “immolarsi” nel nome di un ideale di cui conoscono molto poco e che non gli somiglia per niente, almeno sotto il profilo culturale.

Molti di loro, reclutati proprio (e non a caso) via web, con ogni probabilità non hanno neppure ben chiaro che non si tratta di un videogioco. Che qui le persone muoiono davvero. In primis proprio i terroristi. E che una volta arrivati al “game over” non si può ricominciare la partita. Hanno il volto rassicurante del figlio indolente del nostro vicino di casa che ci sembra così tranquillo, dell’amico un po’ introverso e taciturno dei nostri figli.

Passano inosservati da sempre perché non hanno nulla per cui valga la pena notarli. Eppure sono pronti a farsi esplodere anche in mezzo a noi per mietere il più alto numero possibile di vittime perché qualcuno, in primis via internet, ha saputo innescare il potenziale distruttivo che alberga, silente, in ciascuno di loro e che si alimenta di paura e fragilità psicologica. E questo genere di soggetti sono prede prelibate per chi sa impiegare sapientemente queste potenti strategie persuasive di matrice manipolatoria.

Pochi clic ed il gioco è fatto: da giovane occidentale con poche idee e molto confuse ad aspirante “kamikaze” il passo diviene tragicamente breve. E i reclutatori non hanno inventato niente di particolare: le tecniche utilizzate sono da molto tempo ampiamente utilizzate dai gruppi settari (di matrice religiosa e non) più potenti ma anche in determinati ambiti politici particolarmente spregiudicati. Niente di nuovo sotto il sole dunque. Ed ecco in sintesi i passaggi principali:

  • Primo passaggio: occorre fare in modo di attirare l’attenzione degli aspiranti “terroristi” con contenuti ad alto impatto; in questa fase di cruciale importanza è l’utilizzo dei social media attraverso i quali è possibile far circolare in maniera virale e far condividere in poco tempo da milioni di persone “le esche” (per lo più i video delle esecuzioni che hanno l’obbiettivo di suscitare terrore, paura, ansia ma anche eccitazione/esaltazione);
  • il secondo passaggio riguarda il raggiungimento dell’attenzione mediatica, e con essa l’ulteriore amplificazione, da parte dei media tradizionali (TV e giornali); tale passaggio consente ai reclutatori di raggiungere i soggetti più giovani e vulnerabili, ossia coloro che oggi sono ai margini della società occidentale.
  • Terzo passaggio: una volta attirata l’attenzione di questa categoria di soggetti, i reclutatori sollecitano una serie di vissuti che solitamente questi soggetti provano quotidianamente come il sentirsi umiliati, derisi, esclusi, emarginati per via di una serie di problematiche personali e familiari di vario tipo.
  • Quarto passaggio: a questo punto tutta l’energia negativa sprigionata durante le fasi precedenti viene veicolata verso un processo identificativo con i “ribelli” (ossia i terroristi) che vengono dipinti come “eroi” che combattono contro un sistema ingiusto ed oppressore. Una sorta di moderna e sanguinaria “riedizione” del racconto biblico di Davide e Golia. E questi soggetti, armati d’odio e di kalashnikov, a questo punto sono pronti a tutto pur di vendicarsi del sistema che li ha respinti ed umiliati.
  • Quinto passaggio: il cosiddetto “Love bombing” ben noto a chi studia le tecniche di reclutamento messe in campo dai gruppi settari. Per gli occidentali che vogliono far parte della Jihad l’accoglienza è a dir poco calorosa. Vengono trattati come dei prescelti, dei privilegiati e tale vissuto ribalta il costante senso di emarginazione e frustrazione che ha, fino a quel momento, segnato le loro esistenze.
  • Sesto ed ultimo passaggio: la cosiddetta desensibilizzazione alla violenza con conseguente “radicalizzazione” dell’ideologia estremista: questa è la fase che trasforma la l’aspirante “terrorista” in un foreign fighter vero e proprio, pronto a sacrificare la sua vita per la causa. In questa fase viene utilizzato materiale di propaganda tarato proprio sui “gusti” dei ragazzi occidentali.

Ecco di cosa stiamo parlando: un’orda di emarginati alla riscossa, disposti a tutto pur di dare un senso ad un’esistenza percepita come inutile e fallimentare. La prospettiva di finire (ormai esanime) in uno di quei video ed essere “visto” da milioni di persone è un tributo che sono dispostissimi a pagare pur di avere il proprio momento di “fama mediatica”.

Perche alla fine, triste a dirsi, il punto dolente è proprio questo: per molti di loro si tratta di una sorta di macabro reality in cui il successo non viene misurato attraverso i televoti ottenuti (veri o presunti) ma attraverso il numero di vittime che si riesce ad ottenere quando viene il momento di lasciare esplodere (letteralmente) la propria vendicativa distruttività.

Roberta Bruzzone